Ori and the Blind Forest: fatevi rapire dall'onirico mondo di Nibel

Ori and the Blind Forest: fatevi rapire dall'onirico mondo di Nibel

Il titolo d’esordio di Moon Studios è andato oltre le già positive impressioni che avevamo avuto nei mesi scorsi. I quattro anni di sviluppo hanno permesso la realizzazione di un fluidissimo platform 2D dalle caratteristiche old school, ricco di sfida e con un’ambientazione davvero ben curata, votata all’esplorazione e senza fastidiosi tempi di caricamento.

di pubblicato il nel canale Videogames
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Quattro anni di sviluppo hanno dato i loro frutti

I prodotti indipendenti stanno già da qualche tempo attraversando un momento di notevole successo e l’offerta di titoli in digital delivery provenienti da software house di piccole dimensioni è in continua e costante crescita. Oltre all’immancabile Steam, a catalizzare l’attenzione del pubblico di massa su questo tipo di opere sta contribuendo anche Sony, che tramite la Instant Game Collection destinata agli abbonati PlayStation Plus mette a disposizione dei giocatori alcune tra le novità più interessanti del panorama indie. Apotheon, Transistor e OlliOlli 2 sono solo alcuni tra gli esempi più recenti e la varietà dell’offerta sta assumendo proporzioni sempre più interessanti, anche sul piano qualitativo.

Qualità che non manca nemmeno a Ori and the Blind Forest, progetto d’esordio di Moon Studios. La software house è stata fondata nel 2010 da Thomas Mahler, ex Cinematic Artist presso Blizzard Entertanment, e Gennadiy Korol, in precedenza senior graphics engineer di Animation Lab. Le fasi di sviluppo di questo progetto hanno richiesto ben quattro anni per essere portate a termine, nel rispetto di quegli elevati standard che il team ha deciso di porsi fin dalla sua genesi. Già nel corso del 2011 venne stipulato un accordo con Microsoft e così il team entrò a far parte del novero di sviluppatori first party appartenente alla casa di Redmond.

Ori è un titolo appartenente alla cosiddetta categoria “Metroidvania”, pertanto combina le meccaniche tipiche dei platform 2D, che strizzano l’occhio a molti titoli del passato e affondano le proprie radici soprattutto nell’era 8 e 16 bit. A questo si va ad aggiungere una spiccata componente adventure ed esplorativa, coadiuvata da una serie di elementi RPG che veicolano l’evoluzione e la crescita del personaggio, contribuendo ad articolare sempre di più l’esperienza di gioco e a non renderla mai monotona.

Come ha dichiarato il producer Daniel Smith, le influenze per questo titolo sono state innumerevoli e spaziano da Super Metroid a Zelda: A Link to the Past, giungendo poi a produzioni del passato recente come Super Meat Boy e Shadow Complex. L’obiettivo era insomma quello di portare in scena un’esperienza platform allo stato dell’arte, mantenendo inoltre un elevato livello di sfida. Per quanto attiene il versante prettamente artistico le influenze più dirette derivano dai lavori di Studio Ghibli e del maestro dell’animazione Hayao Miyazaki (da poco ritiratosi dalle scene). Tra le opere del maestro nipponico sono stati citati in particolare Princess Monoke e Spirited Away. Ma non mancano nemmeno alcune dichiarate influenze sul versante dell’animazione occidentale, come Il Re Leone e Il Gigante di Ferro.

Nella sua prima fase la squadra al lavoro su Ori era composta unicamente da due persone, mentre il motore grafico impiegato era il Construct. Solo in un secondo momento il progetto ha assunto uno spessore diverso e il lavoro svolto è stato trasferito sull’ormai conosciutissimo Unity, motore che è già stato impiegato per numerosi progetti indipendenti, tra i quali spiccano Gone Home e Monument Valley, ma anche i recenti Never Alone e Oddworld New’n’Tasty. Grazie a questa scelta è stato possibile convertire il materiale che era già stato preparato e gli sviluppatori hanno potuto avvantaggiarsi della potenza e semplicità d’utilizzo di questo engine.

Come sempre però non sono mancate le sfide. Per un team esperto ma giovane come Moon Studios, lo sviluppo di Ori ha richiesto molto tempo e grande attenzione ai particolari. Le principali necessità hanno riguardato la fluidità di gioco, che avrebbe dovuto mantenersi saldamente fissa sui 60 frame per secondo, così come l’implementazione di tutti quei contenuti necessari a trasmettere la spiccata vena artistica che contraddistingue quest’opera, per di più senza alcuna schermata di caricamento a spezzare l’azione di gioco e la narrazione.

Che il progetto promettesse bene era già cosa nota da tempo, non per niente in occasione dello scorso E3 questo titolo ha fatto incetta di riconoscimenti, portandosi a casa tra gli altri anche il premio come miglior platform presente in fiera. Ebbene, dopo il nostro test possiamo affermare, senza timore di smentita, che le già ottime aspettative della vigilia sono state addirittura superate.

 
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