Il miglior videogioco per PS4 è Bloodborne

Il miglior videogioco per PS4 è Bloodborne

La nuova opera firmata da Hidetaka Miyazaki è interpretabile come il tassello decisivo per la consacrazione del genere Soulslike verso un pubblico potenzialmente un po’ più ampio, senza comunque rinunciare a molti dei pilastri fondamentali che hanno fatto la fortuna di From Software negli anni. In primis la complessità e l’elevato livello di di sfida.

di pubblicato il nel canale Videogames
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Miyazaki e la genesi del fenomeno Souls

“Bene. Tutto firmato e regolare. Ora diamo inizio alla trasfusione. Oh, non devi temere. Qualunque cosa accada, forse ti sembrerà soltanto un incubo…”

Le ermetiche parole pronunciate nel filmato introduttivo di Bloodborne, nella loro sintesi, possono essere un buono spunto da cui partire per parlare di Hidetaka Miyazaki, una delle personalità più in ascesa nell’industria videoludica odierna, ma anche tra le più silenziose e, a loro modo, controverse.

Bloodborne non è soltanto la prima esclusiva di peso ad essere approdata su PlayStation 4, può di diritto essere visto come il prodotto che, più di tutti, sta contribuendo a sdoganare ad un pubblico molto più ampio un modo peculiare di intendere i videogiochi e le tematiche in essi trattate. A dimostrarlo non sono soltanto i numeri – è notizia di alcuni giorni fa il superamento del primo milione di copie vendute a livello globale – ma anche il passaparola, la viralità dei contenuti presenti in rete, la montagna di video gameplay, che è destinata a superare i già apprezzati predecessori. Realtà e immaginazione sono le due varianti fondamentali di Bloodborne, ma se volessimo instaurare un collegamento analogico possono essere interpretate come due tasselli di fondamentale rilevanza anche nella vita e nell’esperienza lavorativa del suo ideatore, di quello che avrebbe potuto non essere e che invece, per varie congiunzioni fortunate di eventi, è stato per davvero.

Un personaggio di nicchia per definizione, riluttante a restare troppo a lungo sotto i riflettori, pragmatico come molti sviluppatori provenienti dal Sol Levante ma poco personaggio. In alcune delle sparute interviste concesse in questi anni, Miyazaki ha descritto la propria infanzia definendosi un bambino difficile, privo di un sogno da inseguire con ostinazione, slegato da particolari forme di ambizione. Dopo aver conseguito il diploma in scienze sociali presso la Keio University di Tokyo, il giovane Miyazaki prese in considerazione di avvicinarsi al mondo dello sviluppo, trovando però impiego presso la Oracle Corporation, società californiana dedita per lo più alla produzione di software per la gestione di dati. Un tipo di attività che certamente si rivelava distante dalle sue propensioni creative e da una personalità molto complessa e frastagliata.

Dopo alcuni anni di “oblio” l’idea di provare a farsi strada nell’industria videoludica tornò a farsi sentire. Fonte di ispirazione fu Ico, il capolavoro firmato da Fumitu Ueda che si contraddistingueva soprattutto per la particolare interpretazione narrativa e per ambientazioni evocative e misteriose. “Questo titolo mi aprì gli occhi sulle possibilità di questo medium. Volevo a mia volta realizzare un’opera di questo tipo”, ha rivelato a chi gli chiedeva di descrivere i propri inizi come autore.

Peraltro il suo curriculum rendeva difficile trovargli una collocazione utile e nessuno studio di sviluppo sembrava interessato ad avvalersi della sua collaborazione. Nessuno tranne From Software. A questo punto, nella vita di Miyazaki, cambiò praticamente tutto. Dal momento che la sua provenienza era quella del software nudo e crudo, il suo primo impiego all’interno della compagnia nipponica fu in qualità di programmatore, sulla serie Armored Core. La parte espressiva della sua personalità continuava però ad essere relegata in un angolo. La svolta giunse alla notizia di un nuovo e ambizioso progetto – un action RPG chiamato Demon’s Souls – che stava però avendo numerose difficoltà nella sua gestazione.

Miyazaki capì che quella era l’occasione propizia e cercò di fare tutto il possibile per potersi avvicinare al progetto, inserirvi le proprie idee e la propria personalissima visione del gaming. Per giunta, ottenendo l’incarico, sarebbe stato libero da qualsiasi forma di pressione, considerando il fatto che il progetto non era in buona salute e l’azienda era ormai prossima ad archiviarlo come un mesto fallimento.

Demon’s non fu recepito positivamente nei mesi precedenti alla sua release e anche nella prima settimana successiva al lancio vennero piazzate poche unità sul mercato giapponese, ben al di sotto delle aspettative che aveva riposto Sony nel progetto, del quale aveva nel frattempo acquisito i diritti in esclusiva. Il tiepido esordio non lasciava presagire che in pochi mesi le vendite avrebbero potuto decollare in modo deciso, come invece accadde, motivo per cui i publisher Namco Bandai e Atlus si impegnarono nella pubblicazione del gioco anche negli Stati Uniti e in Europa. Il resto della storia sarà più o meno conosciuto a tutti i fan storici dei Souls game, ma non solo. Con l’arrivo di Dark Souls il nome di From Software e la figura di Miyazaki hanno incontrato una schiera sempre più nutrita di fan, salendo in progressione di livello e uscendo sempre più da quella sparuta nicchia iniziale che aveva apprezzato e condiviso il particolare stile di queste opere e la loro profonda difficoltà di fruizione. Bloodborne in questo senso è interpretabile come il tassello finale, quello della decisiva consacrazione del genere action RPG interpretato in quest’ottica, grazie all’inserimento di numerosi aspetti contenutistici che a nostro modo di vedere lo rendono accessibile ad un pubblico un po’ più ampio, senza comunque rinunciare ai molti pilastri fondamentali che hanno fatto la fortuna di From Software negli anni. In primis la complessità delle variabili di gioco e il livello di sfida.

 
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