Valutare l'intrattenimento: personaggio contro autore

Valutare l'intrattenimento: personaggio contro autore

Neve. Salta la presentazione stampa di oggi: è il momento opportuno per mettere giù due parole ancora una volta a proposito di valutazione dell'opera di intrattenimento. Parlerò molto di cinema in questo piccolo pezzo, ma chiaramente molti concetti possono estendersi ai videogiochi visto il ruolo sempre più centrale che sta acquisendo la narrazione nel media videoludico. Ecco, quindi, qualche idea, che spesso nasce da confronti con colleghi o altre persone che "bazzicano" nel mondo dei videogiochi o che, più semplicemente, sono appassionate di cinema.

di pubblicato il nel canale Videogames
 

Neve. Salta la presentazione stampa di oggi: è il momento opportuno per mettere giù due parole ancora una volta a proposito di valutazione dell'opera di intrattenimento. Parlerò molto di cinema in questo piccolo pezzo, ma chiaramente molti concetti possono estendersi ai videogiochi visto il ruolo sempre più centrale che sta acquisendo la narrazione nel media videoludico. Ecco, quindi, qualche idea, che spesso nasce da confronti con colleghi o altre persone che "bazzicano" nel mondo dei videogiochi o che, più semplicemente, sono appassionate di cinema.

Molte persone adorano il personaggio nel media di intrattenimento. Come dimenticare, insomma, Sephirot di Final Fantasy VII, Joker di The Dark Knight o Guybrush Threepwood di Monkey Island, tanto per fare degli esempi tra le opere più disparate. Il rischio, però, è di focalizzare troppo le attenzioni sul personaggio stesso, perdendo il senso dell'opera complessiva, e alterando, quindi, la sua valutazione oggettiva.

Molti autori usano il personaggio come simulacro attorno al quale costruire la rete di significati. Se come autorialità si intende quel processo che porta l'autore a costruire il messaggio all'interno dell'opera d'arte, ad evolverlo e a portarlo a compimento con la fine della stessa opera, si può pensare il personaggio come strumento all'interno di questo meccanismo. Insomma, il personaggio, quando inteso come una parte rispetto al tutto, è fondamentale per la buona riuscita dell'opera d'arte e la corretta veicolazione del messaggio che contiene.

Tuttavia, in certi casi ci sono delle aberrazioni. Molti criticano il recente Batman Arkham City di Rocksteady Studios per il finale (cerco di non rivelare troppo!) che modifica sensibilmente il destino di uno dei personaggi centrali della tradizione Batman, con una conclusione delle vicende che semplicemente non è compatibile con il Batman di Bob Kane. Può questa cosa modificare il giudizio su un videogioco che per altri versi è fortemente innovativo e che espande sensibilmente il concetto di free roaming all'interno di un titolo d'azione?

La mia risposta è, certamente, no. In questo caso si sta dando un ruolo al personaggio quasi ossessivo, mentre si riduce l'importanza dell'autore. Tornando alla serie recente di film su Batman (che, per inciso, apprezzo particolarmente in riferimento al secondo episodio), siamo sicuri che si tratti proprio di riproduzione pedissequa delle idee di Frank Miller (la sottoserie dalla quale Nolan ha indiscutibilmente tratto alcuni spunti) o piuttosto è l'autore (o il regista, che dir si voglia) che ha utilizzato un qualcosa che già esiste per esprimere una sua idea?

Torniamo alla solita domanda: quanto conta l'autore? Nolan ha effettivamente scelto il Batman di Miller per esprimere la sua idea dell'eroe che si sacrifica per la gente, e che non vuole riconosciuti i propri meriti, o ha semplicemente trovato il modo migliore per trasporre in chiave cinematografica un mondo, dei personaggi e delle idee che preesistevano? Nel secondo caso si può definire The Dark Knight un'opera d'arte che si autosostiene o è semplicemente una trasposizione che non aggiunge niente di nuovo?

Sto, di nuovo, dalla parte dell'autore, e dico che secondo me Nolan ha in definitiva utilizzato un mondo che gli preesisteva per esprimere una sua idea. Ogni opera d'arte che può ambire a una valutazione, dal mio punto di vista, non deve perdere di vista questo punto cruciale.

Ma come si riconosce l'autorialità in un media di intrattenimento? Come si può toccare con mano il senso della costruzione del messaggio all'interno dell'opera d'arte? Chiaramente in un film è il montaggio e l'organizzazione delle singole scene la chiave che l'autore può usare per produrre, evolvere e costruire questo messaggio, mentre nel videogioco, e le cose si fanno decisamente più complesse, è quella mistura tra sequenze di narrazione e gameplay. Certamente molti videogiochi non ambiscono a tanto (penso ad Angry Birds o a Fifa 12, ma possono essere definite opere d'arte?), per cui in questo caso non si può generalizzare più di tanto. Penso, invece, a Metal Gear Solid 4 Guns of the Patriots, che considero come uno dei migliori esponenti in assoluto nel mondo dei videogiochi come presenza dell'autore e costruzione del messaggio.

Per far capire meglio cosa voglio dire mi cimento in un paio di illustrazioni. Chiedo venia per la qualità delle stesse, che evidenziano la mia scarsa abilità con l'editor delle immagini.

Barry Lyndon

Pulp Fiction

La discussione nasce da un confronto che ho avuto con il mio collega, nonché amico, Alessio Di Domizio, che appunto verteva sulla sostanziale impossibilità di determinare parametri oggettivi nel processo di valutazione di un film, ma, ripeto, il concetto può estendersi anche ad alcuni tipi di videogiochi. Se considerate le due immagini come una stilizzazione di singole scene all'interno del film vedete come nel "modello Stanley Kubrick" ci sia un momento in cui finisce il ruolo dell'autore che trasmette un messaggio o una parte di messaggio allo spettatore, mentre nel "modello Quentin Tarantino" non c'è spazio per la trattativa sulla determinazione del messaggio tra autore stesso e spettatore, la quale si riduce a zero.

Chiarendo che non tutti i film di Kubrick seguono questa impostazione, e che non tutte le scene di Tarantino sono così, ma che ho usato questi nomi per semplificare il discorso, mi sembra di poter dire che generalmente Kubrick lasci molto spazio interpretativo ai suoi spettatori, che non vengono confinati in un mondo fatto di regole (penso a Inception) in cui gli spettatori devono sempre seguire il regista. Kubrick vuole immergere il proprio spettatore in uno scenario, spesso in un'altra epoca, e fargliela vivere liberamente; mentre Tarantino o Nolan guidano sempre lo spettatore all'interno di un mondo loro in attesa di esprimere in maniera completa il senso della loro opera.

Non si può dire che Barry Lyndon sia migliore di Pulp Fiction, o viceversa, anche se chiaramente i film di Kubrick possono essere giudicati da una certa fascia di pubblico, quella che non apprezza l'essere lasciati da soli nella formulazione del messaggio, come "lenti". Probabilmente è un modo di fare film che si sta eclissando con il passare degli anni, mentre il "modello Quentin Tarantino" sembra essere assurto a punto di riferimento per molti registi.

Kubrick resta un maestro di cinema, e tantissime persone continuano a gustare e ad apprezzare i suoi film, non pensando che siano "lenti". È il bello delle opere di intrattenimento, e la croce e la delizia di chi le deve giudicare: non c'è un modo di fare arte migliore di un altro.

16 Commenti
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Alessio Di Domizio01 Febbraio 2012, 16:55 #1

Mi torna in mente Carmelo Bene...

Credo che chi interpreta sia sempre autore. Può essere un pessimo autore che cerca di copiare un'immagine stereotipata del personaggio, o un buon autore, che la reinterpreta e la attualizza secondo la propria sensibilità. Il primo passo è cancellare dal dizionario la parola "oggettività" :-)
pWi01 Febbraio 2012, 17:02 #2
Concordo pienamente
Kharonte8501 Febbraio 2012, 19:45 #3
quanto conta l'autore?

Secondo me l'autore è tutto. La costruzione del personaggio è del tutto sua anche se è presa da materiale che pre-esiste l'opera; come anche la scelta di farlo vivere sullo schermo "alla Tarantino" o di farlo interpretare allo spettatore "alla Stanley Kubrick".

Una divisione sicuramente semplicistica ma che rende l'idea.

La stessa cosa si potrebbe dire dei videogiochi (perlomeno di quelli che vale la pena di chiamare opere d'arte): alcuni puntano a farti vivere soprattutto il gameplay (penso ai vari eroi "muti" privi di personalità ) altri invece puntano molto sulla storia e sulla caratterizzazione dei personaggi (Batman ne è un esempio riuscito). Entrambi i modi in linea teorica possono favorire un certo grado di coinvolgimento col personaggio ma le modalità sono molto diverse: nel primo caso ci "sostituiamo" al personaggio, nel secondo caso ci "identifichiamo" con lui.

Nolan è un regista che mi piace perchè cura molto l'aspetto psicologico dei suoi personaggi, una dimensione che viene spesso trascurata sia dai registi che dai creatori di videogiochi.
Kharonte8501 Febbraio 2012, 20:00 #4
Originariamente inviato da: Alessio Di Domizio
Credo che chi interpreta sia sempre autore. Può essere un pessimo autore che cerca di copiare un'immagine stereotipata del personaggio, o un buon autore, che la reinterpreta e la attualizza secondo la propria sensibilità. Il primo passo è cancellare dal dizionario la parola "oggettività" :-)

Ma del resto non si può nemmeno sposare l'idea della "soggettività" altrimenti tutto il lavoro che fanno i critici di videogiochi e di film non avrebbe valore.

Questa idea del "non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace" andrebbe sradicata. Non esistono opinioni assolute ma di certo esistono pareri più autorevoli di altri. Questo ci consente di dire che "oggettivamente" un film come Inception o il Cavaliere Oscuro vale molto di più che non un "Natale a Honolulu" qualsiasi
IlVeggente02 Febbraio 2012, 01:38 #5
Originariamente inviato da: Kharonte85
Ma del resto non si può nemmeno sposare l'idea della "soggettività" altrimenti tutto il lavoro che fanno i critici di videogiochi e di film non avrebbe valore.

Questa idea del "non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace" andrebbe sradicata. Non esistono opinioni assolute ma di certo esistono pareri più autorevoli di altri. Questo ci consente di dire che "oggettivamente" un film come Inception o il Cavaliere Oscuro vale molto di più che non un "Natale a Honolulu" qualsiasi


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Questa malformazione deriva, forse, dal fatto che troppo spesso l'arte sia sinonimo di "bellezza".
L'arte, invece, è ANCHE bellezza ma in un senso molto più ampio.
E se nell'arte c'è un messaggio allora non può arrivare un pinco pallino qualunque e pensare che la sua opinione, per quanto legittima, sia rilevante o autorevole.
Alessio Di Domizio02 Febbraio 2012, 08:48 #6
@ Kharonte85
Diciamo che nella materia tecnica ma in generale in qualunque materia, esiste un concetto di esperienza (in questo caso quanti videogiochi ho analizzato nella mia vita) e in generale di "prossimità" alla materia osservata: queste variabili a mio avviso bastano a qualificare l'autorevolezza o meno di un giudizio. Non risolvono però il problema dell'oggettività!
banryu7902 Febbraio 2012, 09:48 #7
Io penso che ciò che si intende come "oggettivo" nel senso proprio del termine (da dizionario) è neccessariamente precedente a qualsiasi interpretazione.
Dopodichè si entra nel campo del "soggettivo", e quindi esiste al massimo un "consenso" o "accordo" tra i soggetti.

Se invece in questo contesto con il termine "oggettivo" intendeva altro, allora sarebbe il caso che se ne esplicasse il significato, che si fornisse la definizione di "oggettivo", onde evitare fraintendimenti.
pWi02 Febbraio 2012, 18:53 #8
Chiaramente, gradire o meno un qualsiasi tipo di opera di intrattenimento rientrerà sempre nella sfera della soggettività.

Per un recensore, d'altra parte, ci sono alcuni parametri, degli agganci che deve riconoscere e valutare, che rientrano nel campo dell'oggettività.
Kharonte8502 Febbraio 2012, 19:33 #9
Originariamente inviato da: pWi
Chiaramente, gradire o meno un qualsiasi tipo di opera di intrattenimento rientrerà sempre nella sfera della soggettività.

Per un recensore, d'altra parte, ci sono alcuni parametri, degli agganci che deve riconoscere e valutare, che rientrano nel campo dell'oggettività.

Teoricamente un buon recensore/critico dovrebbe conoscere anche le proprie idiosincrasie e bilanciarle nell'emettere il suo giudizio. Per esempio io sono cosciente del fatto che i giochi di calcio non mi piacciono, tuttavia ciò non mi dovrebbe impedire di giudicare un gioco se lo inserisco all'interno del contesto (storico) dei giochi sportivi di quel tipo. Lo stesso si potrebbe dire dell'arte ad esempio non mi piacciono i quadri di Picasso però sarei disonesto a non riconoscerne l'importanza e la grandezza nel contesto della storia dell'arte.

In entrambi i casi avere l'esperienza e la conoscenza sono requisiti fondamentali, certo non risolvono la questione dell'oggettività/soggettività ma certamente aiutano a formulare un giudizio con cognizione e coscienza di quello che si sta valutando. In altre parole se è vero che il "punto di vista" è sempre soggettivo ciò non dovrebbe impedirci di formulare un giudizio basato su un ragionamento razionale, equilibrato e il più possibile oggettivo.

Originariamente inviato da: banryu79
Io penso che ciò che si intende come "oggettivo" nel senso proprio del termine (da dizionario) è neccessariamente precedente a qualsiasi interpretazione.
Dopodichè si entra nel campo del "soggettivo", e quindi esiste al massimo un "consenso" o "accordo" tra i soggetti.

Infatti ultimamente vanno molto di moda le meta-critiche dei videogiochi, però anche quelle a volte sono viziate da giudizi arrabbiati/delusi che perdono di vista il senso di ciò che vuole dire valutare l'opera di intrattenimento. Diciamo che si spera che i giudizi si compensino a vicenda restituendo un risultato abbastanza indicativo.
banryu7903 Febbraio 2012, 10:33 #10
Originariamente inviato da: pWi
Chiaramente, gradire o meno un qualsiasi tipo di opera di intrattenimento rientrerà sempre nella sfera della soggettività.

Per un recensore, d'altra parte, ci sono alcuni parametri, degli agganci che deve riconoscere e valutare, che rientrano nel campo dell'oggettività.

Se si stanno valutando dei "parametri", allora la valutazione è sulla tecnica.
Prendi un quadro: non sono un artista ne un pittore, ma sono ragionevolmente certo che chi è del mestiere sia (o debba essere) più o meno in grado di valutare un opera dal punto di vista tecnico.
Questo vale anche per i videogiochi, i film, la danza. Per la ginnastica artistica.

Ma una valutazione dell'aspetto tecnico non richiede alcuna interpretazione, al massimo capacità di analisi, competenza specifica e onestà intelletuale. La tecnica è codificabile e codificata e dunque riconoscibile. Spesso è una valutazione di aspetti quantitiativi e/o metodologici. Di aspetti esecutivi.

Se oltre alla tecnica tiriamo in ballo l'aspetto artistico, entriamo (secondo me) neccessariamente nel campo del soggettivo. Perchè tiriamo in ballo (anche) le emozioni. I significati. Aspetti e comunicazioni non verbali e/o non verbalizzabili previa, appunto interpretazione. E chi interpreta è il soggetto.

Per ricollegarmi al discorso che facevano l'autore dell'articolo e Di Domizio, quando diceva: "credo che chi interpreta sia sempre autore". Io credo che l'autore, in quanto creatore di un'opera, sia "costretto" a interpretare. E' soggetto attivo. Estrinseca da se verso l'esterno.
Lo spettatore, in quanto fruitore può interpretare o meno, in tutto o in parte, fermarsi in ciò che più lo colpisce eccetera. Ma non estrinseca nulla. Non crea nulla: è soggetto passivo.

Se Di Domizio in quell'"interpretare" dell'autore include l'atto creativo, allora in questo senso sono d'accordo con lui: è solo l'autore di un'opera d'arte, che interpreta.

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